Cosa resta per i giovani? Devastazione e saccheggio
da Micromega
Bisogna sempre essere cauti di fronte al mare di numeri e statistiche che vengono snocciolati quotidianamente. Spesso vengono manipolati con cura ed utilizzati come specchietto per le allodole, quasi sempre vengono taciuti quelli più scomodi e ne vengono scelti con attenzione altri, per legittimare o delegittimare scelte prese o mancate. Proviamo a fare un gioco questa volta: utilizziamo dei dati molto interessanti, forniti da alcune ricerche uscite negli ultimi giorni rispetto alla condizione giovanile sul mercato del lavoro, ed affianchiamo questi numeri a delle immagini, delle evocazioni che compaiono nella mente di chi quelle statistiche le conosce bene, vivendole sulla pelle giorno dopo giorno.
Una ricerca targata Sapienza e Ministero del Lavoro ha passato al setaccio 47mila posizioni destinate a 12mila laureati nell’anno accademico 2008/2009, di primo e di secondo livello: nel migliore dei casi, cioè circa uno su dieci, il primo contratto di lavoro offerto supera i 12 mesi. In quasi tutti gli altri casi, circa uno su due, i contratti offerti ai giovani laureati di questo paese non superano i 7 giorni. In un caso su quattro invece si fa fatica ad arrivare alla soglia dei 4 mesi. In media a distanza di tre anni dalla laurea vengono firmati circa 5o contratti. I contratti atipici rappresentano l’82% dei rapporti lavorativi sottoposti ai neolaureati, “in linea con il mercato del lavoro” si aggiunge nel testo che approfondisce la ricerca.
Quasi contemporaneamente a quello della Sapienza sono usciti altri due rilevamenti: il primo è dell’Istat e conferma il tasso di disoccupazione generale all’11% e un’incidenza giovanile su questa percentuale del 37% ( tasso più alto di sempre), il secondo è uno studio della Commissione europea su impiego e sviluppo sociale nel 2012, che mette l’Italia tra i paesi a rischio “trappola della povertà”. In poche parole ci sono circa 641 mila giovani in cerca di lavoro, in un paese in cui “ c’è un alto rischio di entrare in uno stato di povertà e poche possibilità di uscirne”.
Bisogna cercare tra le molte immagini che vengono in mente prima di trovare quella più adatta, quella che maggiormente riesce a dipingere questa situazione. La migliore che mi viene in mente è senza dubbio quella della devastazione e del saccheggio. E’ la devastazione del mercato del lavoro e il saccheggio del futuro di migliaia di giovani. Dietro alle rilevazioni numeriche c’è una generazione costretta ad imparare a memoria un nuovo dizionario: flessibilità a tutti i costi, bisogna essere sempre pronti ed essere i migliori per poter cogliere le splendide occasioni che ti si presenteranno.
I contratti firmati saranno anche “atipici”, ma bisogna essere all’altezza della nuova scena produttiva. E poi sai che noia i contratti “tipici”, quelli monotoni, quelli conquistati con le battaglie del movimento operaio e dai lavoratori negli anni 70. La “prestazione occasionale” poi è una vera risorsa, lavori ogni tanto così hai più tempo a disposizione e puoi gestirlo in autonomia. E per fortuna il mondo è pieno di aziende virtuose come il McDonald, fiore all’occhiello che offre lavoro a decine di migliaia di giovani italiani, come recita la pubblicità.
Devastazione e saccheggio è un’immagine sempre più nitida dentro l’impossibilità di scegliere percorsi e costruire progetti, dentro la scena di una precarietà che sfianca e rende tutti meno liberi e più ricattabili. Saccheggiata ogni risorsa, ogni opzione ed ogni aspirazione, devastati i rapporti tra le persone, messe in competizione per le briciole.
E’ uno scenario che rende bene il deserto quello della devastazione e del saccheggio: uno scenario tetro a cui giovani e meno giovani hanno cominciato a ribellarsi e continuano a farlo. I movimenti studenteschi di questi anni, le esperienze organizzative e di mutuo soccorso dei giovani precari, dei lavoratori cassaintegrati e licenziati in tronco, gli ambulatori autogestiti e gli edifici abbandonati che vengono occupati. Non ha sortito gli effetti desiderati questa continua devastazione, questo saccheggio che non conosce limiti: per questo forse bisogna fare un passo in più. Devastazione e saccheggio oltre ad essere una evocazione potente di quello che ci circonda è un reato che arriva direttamente dal codice Rocco, il codice penale fascista ancora in vigore nel nostro paese.
Grazie a questa particolare norma giuridica è possibile infliggere condanne che vanno dagli 8 ai 15 anni senza dover materialmente provare una condotta criminosa. E’ sufficiente trovarsi in un luogo dove ci sono dei disordini, venire fotografati o riconosciuti, sorridere o dimostrare “empatia” nei confronti di quello che accade. E’ accaduto nel processo per il g8 di Genova, sta accadendo ora con frequenza sempre più allarmante.
Ultimamente si è fatto un gran ricorso a questo capolavoro penale e a molti altri, proprio contro i movimenti sociali che si sono opposti alla devastazione e al saccheggio di cui si parlava prima. Denunce di ogni tipo, arresti e carcerazioni preventive, obblighi di firma e di dimora nei confronti di chi ha provato a costruire strade alternative dentro la crisi: basta un magistrato zelante e il gioco è fatto, proprio come quelli che sono scesi in politica e si sfidano a colpi di giustizia e legalità. Quelli per cui “non devi avere nemmeno una multa se vuoi candidarti”, quelli che ora devono in prima persona presidiare le istituzioni democratiche, quelli che a volte si dichiarano al fianco dei giovani, delle loro aspirazioni e delle loro giuste rivendicazioni, quelli garantisti e pronti a schierarsi contro abusi e soprusi.
Non si può sempre dire tutto e il contrario di tutto: sarebbe interessante sapere cosa ne pensano i magistrati-politici del trattamento di favore riservato ai movimenti in questi anni, delle decine di provvedimenti fantasiosi e persecutori, ma temo di conoscere la risposta. Legalità, giustizia, forme civili della protesta. E intanto prosegue inesorabile la devastazione e il saccheggio del nostro futuro, al quale una generazione intera ha già deciso di non arrendersi. Cortei selvaggi, occupazioni di case o di strade, scioperi e picchetti sono pratiche di lotta o fattispecie penali? Chi tentenna davanti a questa domanda è decisamente fuori strada.
Tiziano Trobia