di Lorenzo Guadagnucci, Comitato Verità e Giustizia per Genova, tratto da zeroviolenzadonne
Ora che un po’ di giustizia è stata fatta e che alcuni alti dirigenti di polizia sono stati obbligati a lasciare gli incarichi, sta diventando molto chiaro quanto è difficile per il nostro paese fare davvero i conti con il G8 di Genova del 2001. Nemmeno una sentenza passata in giudicato, a ben undici anni dai fatti, ha spinto il sistema istituzionale a guardare dentro se stesso e riconoscere i propri buchi neri, la propria incapacità di garantire i diritti fondamentali e il sacrosanto principio d’uguaglianza.
Le condanne al processo Diaz sono state accolte nei palazzi del potere con stupore e con freddezza. Dal mondo politico parlamentare non si è alzata una sola voce per indicare la via maestra delle necessarie riforme, rese urgenti dalla decisione della Cassazione: una legge sulla tortura, la riconoscibilità degli agenti in servizio di ordine pubblico, la creazione di un organismo indipendente di tutela dei diritti umani. E si è permesso al capo della polizia di cavarsela con goffe dichiarazioni di scuse e al suo predecessore, nel frattempo incredibilmente salito a responsabilità di governo, di ostentare solidarietà con i condannati e di rifiutare, per l’ennesima volta, una seria e leale assunzione di responsabilità.
Non stiamo dunque uscendo dagli scempi di Genova G8 camminando lungo la strada della giustizia autentica. Abbiamo solo sprazzi di una giustizia lenta e insicura. I tribunali condannano sì decine di funzionari (fra Bolzaneto, Diaz e altre vicende improriamente dette minori) e passano certo alla storia per il “coraggio” (ma applicare la legge dovrebbe essere “normale”) mostrato nell’inibire per 5 anni i dirigenti più esposti, ma non si è innescato ciò che costituisce la vera missione della magistratura, cioè un controllo indipendente, con gli strumenti giurisdizionali, volto a far sì che chi sbaglia non solo paghi ma impari la lezione e prenda provvedimenti conseguenti.
L’allontanamento dei dirigenti condannati è frutto della pena accessoria inflitta dal tribunale di secondo grado e confermata dalla cassazione: altrimenti niente sarebbe accaduto. Prova ne sia la permanenza in servizio di funzionari condannati in via definitiva e ancora al loro posto. D’altronde si è ignorata per anni la regola dettata dalla Corte europea per i diritti dell’uomo, la quale dice che i funzionari rinviati a giudizio devono essere sospesi e poi rimossi in caso di condanna (che ci siano o meno le pene accessorie).
Non siamo sul cammino della giustizia perché non possiamo dimenticare il mancato processo per l’omicidio di Carlo Giuliani e perché il 13 luglio rischia davvero di consumarsi un’altra ingiustizia. Verso i 25 manifestati chiamati in causa, è stato costruito in questi anni un “processo esemplare”, chiamato di fatto a compensare, agli occhi dell’opinione pubblica, i procedimenti avviati contro decine di agenti e funzionari delle forze dell’ordine. Sono rimasti in ballo, alla vigilia del terzo grado di giudizio, una decina di cittadini, sui quali rischia di ricadere tutto il peso della “ragion di stato”. Cosa c’è di più ingiusto di una sorte del genere? A questi imputati sono state inflitte pene così alte, rispetto ai fatti contestati, da lasciare increduli: fino a 13 anni. E il confronto con le pene inflitte agli altissimi dirigenti condannati per il caso Diaz rende ancora più dolorosa la prospettiva di una conferma del giudizio di secondo grado, perché qui non ci sono prescrizioni salvifiche.
Già sappiamo, comunque vada il 13, che dovremo batterci per una riforma in più oltre a quelle già indicate, e cioè una revisione, o meglio la cancellazione dell’odioso reato di devastazione e saccheggio, un reato anacronistico e punitivo, in termini di previsioni di pena, oltre ogni ragionevolezza.
La Corte di Cassazione, quando è stata chiamata a giudicare sui processi scaturiti da Genova G8, ha mostrato indipendenza (il 5 luglio) e una bella dose di fantasia (con l’assoluzione del prefetto De Gennaro, decisa con motivazioni poco ortodosse rispetto ai meri compiti istituzionali di valutazione delle questioni di legittimità). A così breve distanza dal giudizio, dobbiamo augurarci che stavolta i giudici di cassazione agiscano con saggezza e riportino sui binari della ragionevolezza un giudizio che rischia altrimenti di trasformarsi in un’inutile vendetta.
* Comitato Verità e Giustizia per Genova