24 maggio: un convegno su libertà di conflitto

di , 12 maggio 2013 23:01

Libertà di conflitto

Il nemico interno: ordine pubblico e diritto penale da Genova 2001 ad oggi”

Convegno che si terrà il 24 maggio alle 17.30 al Teatro Valle Occupato
partecipano

Radiondarossa e la campagna 10×100
Francesco Romeo; Ezio Menzione (avvocati)
Donatella Della Porta (sociologa)
Eligio Resta (giurista)
Osservatorio contro la repressione
Supporto legale

Tra settembre ed ottobre 2012 sono state depositate le motivazioni delle sentenze di cassazione per due dei processi istruiti a seguito dei fatti occorsi a Genova nel 2001 durante lo svolgimento del G8. La prima è quella riguardante l’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz. La seconda si riferisce al processo di 10 manifestanti accusati dei reati di devastazione e saccheggio.
Quello che accadde a Genova tra il 20 e il 22 Luglio 2001 è cosa che ha segnato in modo indelebile la storia recente di questo paese a cui nessuna sentenza, per quanto definitiva, potrà mai porre la parola fine.

Nei giorni precedenti al G8 il centro della città fu chiuso con grate alte 8 metri, gli stessi residenti potevano attraversarle solo mostrando un documento di riconoscimento.
Prima di allora in Italia mai si erano costruite delle “zone rosse” che non potessero essere raggiunte dai manifestanti: quelle giornate ne hanno introdotto e legittimato l’uso. Sin dalle prime ore della giornata del venerdì 20 luglio le forze dell’ordine hanno cominciato a caricare e picchiare i manifestanti, impedendo che i cortei previsti partissero dai vari luoghi di concentramento per avvicinarsi al centro della città.

Le immagini che ritraggono avvocati e infermieri con il sangue che cola dalla testa, i violenti pestaggi nei confronti di manifestanti pacifici e inermi, hanno fatto il giro del mondo fissando per sempre le responsabilità di polizia e carabinieri nello stravolgimento di quella manifestazione; responsabilità culminate nell’assurda carica al corteo delle tute bianche che porterà all’assassinio di Carlo Giuliani da parte del carabiniere Mario Placanica.

Di questi comportamenti la magistratura non ne ha tenuto conto: nessuno dei responsabili di quel contingente, peraltro armati di bastoni di metallo fuori ordinanza, è stato accusato di aver devastato la città, eppure, i danni derivanti da quella carica, oltre ad essere costati una vita umana, sono stati di notevole evidenza; nessuna conseguenza giudiziaria, nonostante il Tribunale di Genova avesse chiesto alla Procura di processarne per falsa testimonianza i responsabili: Antonio Bruno, Paolo Faedda, Angelo Gaggiano, Mario Mondelli. Il procedimento aperto a loro carico non è mai arrivato in Tribunale per prescrizione dei termini. Prescrizione peraltro avvenuta anche per i fatti accaduti nel marzo 2001 nella caserma Raniero di Napoli dove decine di persone vennero sequestrate, picchiate, torturate, umiliate dalle forze dell’ordine.

Due sentenze, una sola ragione: quella di stato

Apparentemente diversa è la conclusione della vicenda della scuola Diaz di cui si è avuta sentenza definitiva il 5 luglio 2012. I poliziotti coinvolti sono stati condannati per falso e calunnia; i reati di lesione, invece, sono andati prescritti e il reato di tortura, anche se richiesto dalla procura di Genova, non è stato preso in considerazione in quanto non presente nel nostro ordinamento giuridico. Così il processo a quella che è stata definita, proprio da un ufficiale di polizia, una “macelleria messicana” si è concluso con una condanna per reati “ideologici” di 25 funzionari di cui alcuni prossimi alla pensione e molti promossi ad altri incarichi, compreso Gianni De Gennaro, all’epoca capo della polizia, condannato in appello per istigazione alla falsa testimonianza nei confronti dell’allora questore di Genova Francesco Colucci, ma poi assolto in Cassazione.

Per i 321 poliziotti che materialmente praticarono le violenze sui dormienti della Diaz non si è giunti nemmeno alla loro identificazione: quei 321 poliziotti, ignoti, sono ancora in servizio e magari pronti a ripetere le loro gesta. Perché una cosa è certa: la sentenza della Diaz, lungi dal rappresentare una condanna dei poliziotti per il sangue versato, gli conferisce di fatto l’immunità per tutte le violenze che ancora potranno commettere.

Del tutto diverso l’atteggiamento della magistratura nei confronti dei manifestanti inquisiti. Appare chiara, sin dal primo grado del processo, nei pm Canepa e Cangiani, la volontà di fare di loro gli unici e soli responsabili di quanto accaduto a Genova: il nemico che devasta e saccheggia una intera città, sul filo di una logica giuridica volta a individuare a tutti i costi un capro espiatorio da dare in pasto all’opinione pubblica.

Nella sentenza del 13 luglio 2012, i giudici della Cassazione hanno stabilito che a Genova 10 persone hanno messo in pericolo l’ordine pubblico, commettendo i reati di devastazione e saccheggio: per questo sono stati condannati a pene fino a 15 anni di reclusione.

Cosa si intenda per ordine pubblico appare chiaro dal testo stesso delle motivazioni della sentenza: “l’ordine pubblico deve essere inteso come buon assetto e regolare andamento del vivere civile, a cui corrispondono, nella collettività, l’opinione ed il senso della tranquillità e della sicurezza”. Un concetto elastico, dai confini incerti, giuridicamente impossibile da sottoporre a qualsiasi riscontro fattuale, che nei reati di devastazione e saccheggio svela le ragioni del loro originario concepimento: strumenti di oppressione e intimidazione dell’avversario politico come fu il regime fascista che li ha promulgati. Questo e non altro è il motivo per cui a 10 compagni e compagne sono stati inflitti 100 anni di carcere.

Ma Genova non è finita

Da Genova in poi tutte le lotte sociali sono state ridotte a mera questione di ordine pubblico: secondo l’Osservatorio sulla repressione ci sono stati fino ad oggi 15000 denunciati per reati vari, per non parlare dei numerosi casi accertati di uccisioni nelle strade e in carcere ad opera delle forze dell’ordine. L’applicazione delle “zone rosse” vietate ai manifestanti è divenuta la norma con cui il potere politico rifugge dal confronto con la società, lasciando che sia il manganello a “regolare” le ragioni di ogni protesta: dalla lotta contro le discariche, ai terremotati, ai pastori, agli studenti, alle grandi opere si registra una gestione di tipo poliziesco progressiva ed inarrestabile, fatta ancora di pestaggi e di schedature di massa con identificazione filmata dei manifestanti e documento di identità accostato al volto; un “dispositivo” di governo che è stato portato all’estremo con l’occupazione militare della Val Susa.

Di pari passo si è assistito all’inasprimento delle pene e delle leggi: dall’aggravante generica per finalità di “terrorismo” al DASPO; dal domicilio coatto alle delibere antibivacco dei sindaci, fino alla sospensione di diritti costituzionali per le aree definite di “interesse strategico nazionale”.

Detto per inciso, questa involuzione repressiva non riguarda solo l’Italia ma l’intera Europa perché dal 2007 è in vigore il trattato di Velsen ( Spagna, Italia, Portogallo, Francia, Paesi Bassi cui si è aggiunta in seguito la Romania), che al primo articolo recita: “Il presente Trattato ha lo scopo di costituire una Forza di Gendarmeria Europea operativa, pre-organizzata, forte e spiegabile in tempi rapidi, composta unicamente da elementi delle forze di polizia a statuto militare delle Parti, al fine di eseguire tutti i compiti di polizia previsti nell’ambito delle operazioni di gestione delle crisi.” Un organismo sovranazionale di polizia che opera tramite una struttura politica, composta dai ministri degli esteri e della difesa, e una di polizia, con sede permanente a Vicenza. Il 15 maggio 2010 il trattato è stato ratificato dal Parlamento Italiano con il voto praticamente unanime (un solo astenuto, nessun contrario) dei 442 deputati presenti. La prima esperienza di Eurogendfor (o gendarmeria europea) si è avuta in Grecia durante le violente manifestazioni di piazza svoltesi ad Atene.


Il diritto penale del nemico

Se dunque a livello europeo si è giunti perfino ad affidare ad un corpo di polizia la gestione delle crisi, economiche e sociali, significa che la politica abdica ai suoi compiti fondamentali e fondativi in favore di una società disciplinare dove la protesta non è più un diritto ma un fastidio e chi la attua è un “nemico della società” (di quale società sarebbe pure interessante discutere nell’assenza totale di spazi di decisione e scelta in qualunque ambito delle nostre vite sempre più precarizzate).

Sempre più spesso dunque i magistrati dalle aule dei tribunali italiani motivano le loro accuse sulla base della pericolosità sociale dell’individuo che protesta, che a questo punto non è più tanto giudicato per ciò che ha commesso, ma per quello che rappresenta nei confronti della società: un diverso, un disadattato, un ribelle per vocazione e dunque necessariamente un nemico a cui di volta in volta si applicano misure giuridiche straordinarie, o accentuando nei suoi confronti la funzione repressiva-preventiva (DASPO, domicilio coatto), o sospendendogli alcuni principi di garanzia (leggi di emergenza), fino a prevederne l’annientamento attraverso la negazione di diritti inderogabili. E’ quello che alcuni giuristi denunciano come uno spostamento sul piano del diritto penale da un sistema giuridico basato sui diritti della persona (anche se criminale) ad un sistema basato prevalentemente sulla ragion di Stato.

Non è quindi un caso che dal 2001 ad oggi, nel decennio definito della crisi, si contano 11 sentenze definitive per i reati di devastazione e saccheggio, compresa quella per i fatti di Genova 2001, a cui vanno aggiunte quelle di sei persone condannate in primo grado a 6 anni di reclusione per i fatti accaduti il 15 ottobre 2011 a Roma, mentre per la stessa manifestazione altre 18 persone sono ora definitivamente imputate e il prossimo 27 giugno si aprirà il processo vero e proprio.

Prossimamente è previsto inoltre il processo d’appello per cinque dei manifestanti accusati di devastazione e saccheggio per i fatti di Genova 2001. In vista di quella data intendiamo procedere con la campagna di informazione sui temi sviluppati sinora e sul “dispositivo” di devastazione e saccheggio. Invitiamo quindi a far girare questo documento nelle varie realtà e a discuterne il più possibile e ad organizzare in collaborazione con Genova 10×100 un convegno a Roma per la seconda metà di marzo e anche più momenti in altre città.

Che nessuno e nessuna resti solo e sola
In ogni caso nessun rimorso.

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