Quando la Severino elogia il codice Rocco
di Checchino Antonini
«Se da venticinque anni non si è provveduto ad abrogare il codice Rocco non è perché sia mancato il tempo necessario ma solo per una precisa volontà politica di mantenerlo in vigore al fine di utilizzare gli aspetti più repressivi, soprattutto contro le lotte popolari».
Già nel 1971, i detenuti in rivolta alle Nuove di Torino denunciavano il contrasto tra lo spirito della Costituzione e il Codice Rocco e anche tra questo e la Convenzione internazionale dei Diritti dell’Uomo.
Quarantuno anni dopo quella rivolta, Paola Severino, ministra della Giustizia pro tempore ha colto l’occasione del dibattito al Senato sulla legge per la corruzione per un incredibile elogio del Codice Rocco per il suo valore insuperato. Orgogliosa, la Guardasigilli di Monti, ha spiegato che pure Alfredo Rocco era un tecnico. Rocco, però, finge di non saperlo, fu il teorico dello stato etico e il suo Codice fu il fondamento teorico del fascismo e della dittatura. Era per Mussolini, quello che la Severino è per Monti. In quel che resta dei circuiti di sinistra c’è chi ha parlato di una «provocazione rivelatrice».
Proprio a metà luglio, grazie al Codice Rocco, è stato possibile condannare dieci manifestanti del G8 2001 a dieci anni di galera solo per aver rotto una vetrina mentre per gli alti papaveri coinvolti nella macelleria messicana della Diaz le pene sono state molto più miti e la galera nemmeno per idea visto che le prescrizioni sono fioccate puntuali. Avverte Cesare Antetomaso, portavoce dei Giuristi democratici di Roma e membro dell’esecutivo nazionale Gd, che «Occorre particolare prudenza quando si maneggia la tecnica. Perché essa di rado è neutra.
Se è vero che l’impianto del codice Rocco è tuttora valido, è altrettanto vero che la parte speciale è indubitabilmente figlia della cultura giuridica dell’estensore, teorico e propugnatore dello Stato etico e tra le massime figure intellettuali del regime fascista. Ce n’è abbastanza per pretendere le dimissioni della Ministra Severino e invocare la rapida approvazione della bozza Pisapia di riforma del codice penale».