Da Elena Giuliani
Io il 20 luglio 2001 non ero a Genova. Ero a Milano, per lavoro. E il 21 luglio e i giorni seguenti anche se mi trovavo a Genova, non ho partecipato alle manifestazioni: ero all’obitorio, in attesa che mi dessero il permesso di vedere mio fratello. Così di quanto successo in quei giorni ho saputo lentamente, prima accarezzando e contando una a una le ferite sul corpo di Carlo, poi ascoltando le testimonianze di chi, ad altre ferite, è riuscito a sopravvivere.
Ho anche sentito dei cassonetti rovesciati, del selciato divelto, delle vetrine rotte e delle auto bruciate.
Sono passati quasi 11 anni da allora.
Nel frattempo, in altre parti d’Italia, persone che erano state a Genova come altre che non c’erano, nelle quotidiane battaglie per la difesa dei diritti quali il lavoro, lo studio, la casa, gli spazi sociali, o per la difesa del territorio dalle violenze di un Tav o di una discarica, hanno conosciuto ferite e offese simili a quelle di Genova, e per qualcuno ci sono stati anche arresto e detenzione.
A guardarsi intorno, qui, oggi, non c’è più traccia né di cassonetti rotti, né di selciato sconnesso, né di vetrine venate, né di auto incendiate. Ma ci sono molte persone che portano ancora sulla loro pelle e nel loro cuore i segni delle giornate genovesi.
E c’è Carlo, che non c’è più.
Oggi però si vogliono condannare 10 persone a 100 anni complessivi di carcere. 100 anni di detenzione comminati a 10 manifestanti per quanto successo a Genova nel 2001.
Ma i fatti di Genova riguardano tutti. Dai fatti di Genova è necessario partire per ricostruire rapporti democratici tra istituzioni e cittadini.
Dei fatti di Genova siamo responsabili tutti: chi c’era e chi non c’era, chi non è stato e chi è Stato.
Elena