Continuiamo a parlare di Genova di quello che successe in quel luglio del 2001 quando venne ucciso Carlo Giuliani, quando fu aperto quel luogo di tortura chiamato Bolzaneto. Di quelle giornate a pagare sono 10 persone, compagne e compagni accusati di devastazione e saccheggio che hanno preso dai 7 ai 14 anni di carcere. Due di loro si trovano rinchiusi a Perugia e a Milano mentre i torturatori continuano a torturare e a far carriera nella polizia. Proponiamo questo articolo preso dal blog laparoladegliultimi che ci ricorda chi era ed è Massimo Pigozzi, presente a Genova, a Bolzaneto e nel lager per migranti senza documenti Ponte Galeria, condannato recentemente per stupro. Ci soffermiamo su di lui non perchè pensiamo sia la solita mela marcia. Episodi di stupro, violenze, abusi è ormai risaputo sono l’ordinario in caserme, cie e carceri. Quello che ci preme è continuane a ricordare e voler sapere se questo personaggio è ancora nella polizia. Così come dovrebbero essere stati sospesi Gratteri e Luperi condannati per i fatti della Diaz, i cui nomi invece troviamo ancora nelle cronache. 11 anni sono passati da quel luglio del 2011 e la storia è sempre la stessa i compagni e le compagne in galera e questi personaggi a far carriera.
Angela racconta cosa significa vivere in un lager di stato
Le persone che conoscono direttamente i Cie (centri di identificazione ed espulsione) e non si esprimono per sentito dire, hanno imparato che non sono luoghi dove poter fantasticare a occhi aperti. Anzi, sanno benissimo che sono posti dove i sogni vengono spezzati e dove si puo’ incontrare una delle più crudeli realtà del XXI secolo. E’ un accumulo di esseri umani, gettati in una fogna, dove ogni diritto è sospeso.Lo sa benissimo Miguel, che afflitto dalla disperazione, ingoia due pile e della candeggina. Non riesce a sopportare di sottovivere in prigione, senza aver commesso nessun reato. Compie un atto estremo e spera che qualcuno si accorga di lui, della sua storia, delle sue aspirazioni spezzate. Eppure, le istituzioni chiamano “ospiti” le persone che entrano all’interno di questi centri. Qualcuno si sorprende quando vengono chiamati Lager di stato. Qualcun’altro non resta turbato quando viene a conoscenza di storie raccapriccianti, perché sa cosa succede all’interno di quelle celle e qualcun altro ancora, è indifferente e accetta quel che può subire una persona colpevole di non avere un documento a portata di mano. Prosegui la lettura 'Bolzaneto e Ponte Galeria i personaggi sono sempre gli stessi'»
Ciao sono un detenuto ristretto nel carcere di Perugia
vi scrivo perché in tanti anni di carcerazione ho visto molte cose che vanno oltre la costituzione italiana. Un particolare che mi ricordo è stata la manifestazione del G8 del 2001.
Mi trovavo ristretto nel carcere di Pavia in una sezione di alta sicurezza. Una mattina venivamo convocati nell’aria di socialità dove il comandante dell’Istituto ci riferiva che aveva avuto una comunicazione dal Ministero di Grazie e Giustizia che 25 detenuti dovevano essere trasferiti in un carcere in Sardegna perché gli serviva la sezione libera perché dovevano portare 8 detenuti che secondo lo stato avevano preso parte alla rivolta del g8.
Io per mia fortuna sono riuscito a rimanere nello stesso carcere in quanto svolgevo la mansione di spesino e cioè il lavorante che consegnava il sopravvitto che i miei compagni possono acquistare con i propri fondi disponibili, ma a una condizione che io dovevo recarmi davanti alle celle di questi ragazzi tra cui una donna e mettergli delle condizioni sulla loro spesa.
Io naturalmente mi rifiutai e venni minacciato di un eventuale trasferimento. Ma dato che ero uno dei più vecchi che lavoravano ai conti corrent sono riuscito a farmi bloccare il trasferimento e quindi il mio compito era solo quello di ritirare le loro richieste e consegnarle.
Ricordo che questi ragazzi non potevano avere nessun tipo di contatto se non altro con la presenza di un agente di polizia penitenziaria, ma la cosa che mi ha sorpreso è che la ragazza ha dovuto passarmi la sua richiesta da sotto il blindato e che la spesa gli venisse consegnata direttamente da un agente.
Posso solo dire che sono stati trattati peggio dei detenuti che sono a regime di 41bis.
Non potendosi acquistare niente al di fuori di generi che non potevano essere usati con i fornelli che possiamo acquistare all’interno di qualsiasi istituto, potevano solo acquistare acqua, sigarette, biscotti e latte il resto erano costretti a sopravvivere con il vitto che passava l’amministrazione penitenziaria. Posso farvi immaginare cosa si possa mangiare in un carcere, la tortura nella tortura.
La cosa più impressionante è che il lavorante che portava il vitto l’avevano obbligato a mettersi un passamontagna in testa in modo che non si poteva riconoscere il viso, cosa che il lavorante stesso si rifiutava di indossarlo e di conseguenza è stata costretta una guardia a passare il vitto mai aprendo il blindato ma da un piccolo spioncino. La fortuna di questi ragazzi è stata che sono riusciti ad uscirne nell’arco di 20 giorni perché noi detenuti comuni capivamo che erano trattati peggio delle bestie e che la sofferenza dentro un carcere è già insopportabile se sei un detenuto comune, loro l’hanno passata nel peggior modo che si possa trattare un essere umano.
La contentezza di tutti noi detenuti del carcere di Pavia è stata la notizia della loro scarcerazione facendogli sentire la nostra solidarietà sbattendo le sbarre per più di un’ora!
Concludo dicendo che nelle galere dovrebbero farci passare solo anche un giorno a quei signori politici per provare la sofferenza quella vera e non solo parole parole parole!!!
Ragazzi io sono con voi fino alla morte!!!
Un detenuto che ha vissuto questa brutta esperienza in prima persona,
Malgrado gli 11 anni trascorsi è ancora ben chiaro nella mia mente il ricordo che ci portò in quelle giornate a Genova, eravamo felici e pieni di speranze, eravamo più di 300.000 mila, tutte e tutti con la voglia di contestare i potenti, tutti e tutte con la voglia di costruire un mondo diverso (nel nome di un così detto movimento dei movimenti). Poi purtroppo qualcosa è andato storto, se così vogliamo dire, ed è successo quello che è successo: le violenze, i massacri e la morte (omicidio di Stato) di uno di noi, il nostro caro Carlo. Mi ricordo anche molto bene l’ipocrisia di chi giù in quei giorni cominciava a cavalcare l’onda dividenti i buoni da cattivi.
Il dopo Genova fu poi caratterizzato da quell’accanimento, da quella caccia alle streghe da parte della magistratura nei confronti di 25 tra compagni e compagne con l’accusa assurda del reato di devastazione e saccheggio.
A seguire poi il buio più completo, fino a quel 2008 quando la Corte d’Appello portò da 25 a 10 i compagni e le compagne accusate per quell’abominevole reato e, ricordo ancora bene quello che si percepiva dalla dichiarazione (in rete) rilasciata da Casarini dopo la sentenza, i “suoi 15″, i manifestanti modello e per questo giustamente assolti (alla faccia della solidarietà militante!).
Gli altri 10 invece cani sciolti, brutti, zozzi e cattivi e, così giustizia fu fatta. 10 per lo più anarchici, i subbugliatori du 300.000 persone e, non lo dico per vittimismo, forse sarà una coincidenza o forse un dato di fatto, chissà…?
Poi di nuovo calarono le tenebre e tutto andò al dimenticatoio sino alla sentenza finale del 13 luglio del 2012 quando la Cassazione confermò per noi 10 la condanna per il reato di devastazione e saccheggio (con pene dai 7 ai 15 anni di reclusione).
Ed ora, momentaneamente dietro alle sbarre siamo in 2 io e Marina, quella sorella che ho sempre desiderato avere e che non ho mai avuto la possibilità di conoscere.
Ma che sia ben chiaro, io no vivo di rancore perché ho ben chiaro chi è il mio nemico e, colgo l’occasione per ringraziare dal profondo del mio cuore chi comunque in questi anni c’è stato sempre vicino, come chi si è prodigato in questo ultimo periodo con le poche forze rimaste ad aprire e portare avanti la campagna 10×100.
Ma, adesso la cosa più raccapricciante è che con questa sentenza si è venuto a creare un precedente confermato dalla Corte di Cassazione e da ora in poi (e mi auguro che non sarà così) chi oserà ribellarsi, chi oserà difendere la propria dignità e chi scenderà nelle piazze per lottare dovrà convivere con l’idea di questo alone repressivo nascosto dietro l’angolo e pronto a colpire in qualsiasi momento.
Malgrado la prigionia, io cerco di resistere e tenere duro grazie anche alla vostra solidarietà che mi state dimostrando in questi giorni e che non mi fa sentire solo. Non sarà sicuramente questo sequestro legalizzato a frenare la mia voglia di far “saltare” questo ingranaggio del potere e costruire insieme un mondo diverso.
Un forte abbraccio a tutti e tutte e, con Renato sempre nel cuore.
L’accanimento, si sa, non conosce fine.
Quello genovese dura da undici anni.
Undici anni e poi quello che si vorrebbe fosse l’atto risolutivo: la sentenza di condanna definitiva inflitta dalla Corte di Cassazione a dieci manifestanti. Una decisione emessa in un momento tutto particolare: mentre il modello neoliberista esplode nella più lunga crisi economica degli ultimi 40 anni e in tutta Europa si restringono gli spazi dei diritti conquistati e le espressioni di conflitto.
I reati di “devastazione e saccheggio” li ereditiamo dal codice penale fascista ancora in vigore, un abominio giuridico utilizzato in maniera del tutto discrezionale e “politica” per infliggere condanne esemplari.
Condanne che qualcuno doveva prendersi la briga di spiegare: in cosa, esattamente, sarebbero consistiti “devastazione e saccheggio”, e perché sarebbero stati causati proprio da quelle dieci persone, tra le centinaia di migliaia che erano a Genova? Non si è risparmiato il Procuratore Generale Gaeta, sostenendo nella sua requisitoria che, questi reati di derivazione fascista sono da reinterpretare in funzione repubblicana, legata alla necessità di tutelare la libertà di pensiero e di manifestare.
Ricordiamo bene, come questo stato e le sue “forze dell’ordine” tutelarono la libertà di manifestare durante il G8 del 2001, quando si determinò “la più grave sospensione dei diritti democratici dal secondo dopoguerra in un paese occidentale”. Ricordiamo la devastazione dei corpi e del pensiero prodotti dalla militarizzazione di una città intera, dalle informative deviate, le frontiere chiuse, le cariche feroci, gli spari, i gas cs, gli arresti arbitrari, le torture, i pestaggi, le falsificazioni e gli insabbiamenti.
Ricordiamo il saccheggio della vita di un ragazzo e la devastazione del suo corpo dopo la morte.
Su tutto questo, a undici anni di distanza l’autorità giudiziaria italiana ha pronunciato la sua verità: a Genova ci fu una repressione brutale e indiscriminata verso chi manifestava ma, non ci sono responsabilità politiche, ha pagato una parte della truppa ed una parte dei suoi comandanti sul campo. Il capo della polizia dell’epoca è stato nominato sottosegretario di questo governo e difende, pubblicamente, i suoi pretoriani. I manifestanti entrano in carcere.
Non ci aspettavamo niente di buono da questa sentenza.
Eppure, di fondo, restava la voglia di pensare che la realtà, a volte, sa anche sorprendere.
Ma la realtà di oggi è che almeno quattro dei dieci condannati sono destinati al carcere.
Sulla loro pelle si manda un segnale a tutti e a tutte: d’ora in poi, basterà osservare qualcun rompere una vetrina per prendersi dai 6 anni in su. Se poi si aiuta a romperla, gli anni sono almeno dieci.
Dopo questa sentenza, possiamo dire che le vetrine hanno vinto sulle persone.
Inoltre il messaggio è inequivocabile: non provate a scendere in piazza o a manifestare nelle strade, tutti e tutte a casa a subire la crisi senza fare storie.
La campagna 10×100 si è sviluppata su dieci persone e il loro destino ma pensiamo sia riuscita anche a produrre dei risultati politici. Non solo con la raccolta di tante firme ma anche informando una opinione pubblica fino ad oggi per la maggior parte all’oscuro dell’esistenza di questo reato e di come si stava chiudendo Genova2001. Un dibattito si è acceso anche sui media mainstream.
Ma la campagna non finisce qui. In un certo senso inizia ora.
Non solo perché vogliamo continuare a contribuire ad aprire ambiti di discussioni di libertà ma anche perché bisogna continuare a portare solidarietà a chi oggi si trova in carcere.
L’urgenza ora è proprio non lasciarli soli e sole.
Genova non finisce. Il sipario non si cala.
Per mandare lettere e telegrammi o anche soldi:
Marina Cugnaschi c/o Seconda Casa Di Reclusione Di Milano – Bollate - Via Cristina Belgioioso 120 - 20157 Milano (MI)
Per scrivere a Gimmy: Francesco Puglisi - Casa Circondariale di Roma Rebibbia - G9 – cella 9 – piano 2 – sezione c - Nuovo Complesso in Via Raffaele Majetti, 70 - 00156 Roma
ZicTv al presidio in Piazza Nettuno, che per tutta la giornata ha atteso l’esito della sentenza nei confronti dei manifestanti del G8 2001 accusati devastazione e saccheggio
30MILA FIRME ALL’APPELLO “GENOVA NON È FINITA: DIECI, NESSUNO, TRECENTOMILA”. Oltre a chi ha firmato l’appello sul nostro sito ci sono le firme raccolte nei banchetti, i commenti, le adesioni tramite mail per arrivare a quasi 30.000 firme.
Il 13 luglio la Corte di Cassazione è chiamata ad esprimersi sulla sentenza che condanna 10 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio – con pene che vanno dagli 8 ai 15 anni – per le giornate contro il G8 di Genova 2001.
La campagna 10×100 ha raccolto in un mese circa 30MILA firme all’appello “Genova non è finita: dieci, nessuno, trecentomila”, che chiede l’annullamento delle condanne per devastazione e saccheggio.
Tra i firmatari: Margherita Hack, Dario Fo, Franca Rame, Erri De Luca, Valerio Evangelisti, Wu Ming, Curzio Maltese, Luigi Manconi, Mario Tronti, Haidi Gaggio Giuliani, Don Andrea Gallo, Lorenzo Guadagnucci, Daniele Vicari, Ascanio Celestini, Elio Germano, Jasmine Trinca, Valerio Mastrandrea, Caparezza e molti altri. Le firme saranno consegnate alla Cassazione nella giornata del 13 luglio.
La campagna convoca per venerdì 13 luglio una giornata di mobilitazione per prendere parola sull’esito della sentenza e far sentire la nostra vicinanza e solidarietà a dieci persone le cui vite sono sospese, in attesa della decisione di un tribunale. Dieci capri espiatori per colpire chiunque voglia continuare a manifestare dissenso. Dieci condanne esemplari in nome di un reato figlio del codice penale fascista, un reato di cui la campagna chiede l’abolizione.
Gli appuntamenti per il 13 luglio a ROMA:
- ore 10.30 appuntamento davanti alla Cassazione Piazza Cavour per seguire l’udienza
- ore 12.00 CONFERENZA STAMPA e CONSEGNA delle 30mila firme della campagna 10×100 alla Cassazione
- ore 20 Piazza Trilussa (Trastevere) per prendere parola sull’esito della sentenza
L’elenco di tutte le iniziative:
Giovedì 12 luglio
ROMA
h.17.00 Libreria caffè – Liberi di… Piazza Santa Maria Liberatrice 46 Signing Hour
h. 22.00 csoa Forte Prenestino. Non spegni il sole se gli spari addosso
proiezione di “La Provvista” di Carlo Bachschmidt e “Genova 2001 – col sorriso” di Manolo Luppichini
NAPOLI
h.18:00, Galleria Umberto Primo: assemblea pubblica nei pressi della Prefettura.
MONZA
h.19.30, largo Mazzini (F.O.A. Boccaccio 003): mostre, installazioni e materiale informativo sul G8 del 2001. Presentazione di “+Kaos. 10 anni di mediattivismo e hacking” (Agenzia X, 2012), a cura di Autistici.
FIRENZE h.21:00 Off bar lago dei cigni, proiezioni video.
h. 22 Drive-in Gelosia: un’unica trasmissione radio dal nord al sud d’Italia per non dimenticare le giornate di Genova. A seguire, film a sorpresa.
TARANTO h.19:00 Presidio alla Rotonda del Lungomare
VENERDì 13 luglio
BOLOGNA
h.10:30 Presidio al Nettuno in piazza Maggiore
SALERNO
h.18:00 Presidio e assemblea pubblica in piazza Portanova
NAPOLI
h.18:30, via Coroglio 49 (Bancarotta): “Un altro mondo è ancora possibile”: esposizione fotografica, speak corner e spettacolo teatrale
MILANO
h19:30 piazza Vetra. Proiezione pubblica del film “Diaz, non pulire questo sangue” di Daniele Vicari e interventi della campagna 10×100
di Lorenzo Guadagnucci, Comitato Verità e Giustizia per Genova, tratto da zeroviolenzadonne
Ora che un po’ di giustizia è stata fatta e che alcuni alti dirigenti di polizia sono stati obbligati a lasciare gli incarichi, sta diventando molto chiaro quanto è difficile per il nostro paese fare davvero i conti con il G8 di Genova del 2001. Nemmeno una sentenza passata in giudicato, a ben undici anni dai fatti, ha spinto il sistema istituzionale a guardare dentro se stesso e riconoscere i propri buchi neri, la propria incapacità di garantire i diritti fondamentali e il sacrosanto principio d’uguaglianza.
Le condanne al processo Diaz sono state accolte nei palazzi del potere con stupore e con freddezza. Dal mondo politico parlamentare non si è alzata una sola voce per indicare la via maestra delle necessarie riforme, rese urgenti dalla decisione della Cassazione: una legge sulla tortura, la riconoscibilità degli agenti in servizio di ordine pubblico, la creazione di un organismo indipendente di tutela dei diritti umani. E si è permesso al capo della polizia di cavarsela con goffe dichiarazioni di scuse e al suo predecessore, nel frattempo incredibilmente salito a responsabilità di governo, di ostentare solidarietà con i condannati e di rifiutare, per l’ennesima volta, una seria e leale assunzione di responsabilità.
Non stiamo dunque uscendo dagli scempi di Genova G8 camminando lungo la strada della giustizia autentica. Abbiamo solo sprazzi di una giustizia lenta e insicura. I tribunali condannano sì decine di funzionari (fra Bolzaneto, Diaz e altre vicende improriamente dette minori) e passano certo alla storia per il “coraggio” (ma applicare la legge dovrebbe essere “normale”) mostrato nell’inibire per 5 anni i dirigenti più esposti, ma non si è innescato ciò che costituisce la vera missione della magistratura, cioè un controllo indipendente, con gli strumenti giurisdizionali, volto a far sì che chi sbaglia non solo paghi ma impari la lezione e prenda provvedimenti conseguenti.
L’allontanamento dei dirigenti condannati è frutto della pena accessoria inflitta dal tribunale di secondo grado e confermata dalla cassazione: altrimenti niente sarebbe accaduto. Prova ne sia la permanenza in servizio di funzionari condannati in via definitiva e ancora al loro posto. D’altronde si è ignorata per anni la regola dettata dalla Corte europea per i diritti dell’uomo, la quale dice che i funzionari rinviati a giudizio devono essere sospesi e poi rimossi in caso di condanna (che ci siano o meno le pene accessorie).
Non siamo sul cammino della giustizia perché non possiamo dimenticare il mancato processo per l’omicidio di Carlo Giuliani e perché il 13 luglio rischia davvero di consumarsi un’altra ingiustizia. Verso i 25 manifestati chiamati in causa, è stato costruito in questi anni un “processo esemplare”, chiamato di fatto a compensare, agli occhi dell’opinione pubblica, i procedimenti avviati contro decine di agenti e funzionari delle forze dell’ordine. Sono rimasti in ballo, alla vigilia del terzo grado di giudizio, una decina di cittadini, sui quali rischia di ricadere tutto il peso della “ragion di stato”. Cosa c’è di più ingiusto di una sorte del genere? A questi imputati sono state inflitte pene così alte, rispetto ai fatti contestati, da lasciare increduli: fino a 13 anni. E il confronto con le pene inflitte agli altissimi dirigenti condannati per il caso Diaz rende ancora più dolorosa la prospettiva di una conferma del giudizio di secondo grado, perché qui non ci sono prescrizioni salvifiche.
Già sappiamo, comunque vada il 13, che dovremo batterci per una riforma in più oltre a quelle già indicate, e cioè una revisione, o meglio la cancellazione dell’odioso reato di devastazione e saccheggio, un reato anacronistico e punitivo, in termini di previsioni di pena, oltre ogni ragionevolezza.
La Corte di Cassazione, quando è stata chiamata a giudicare sui processi scaturiti da Genova G8, ha mostrato indipendenza (il 5 luglio) e una bella dose di fantasia (con l’assoluzione del prefetto De Gennaro, decisa con motivazioni poco ortodosse rispetto ai meri compiti istituzionali di valutazione delle questioni di legittimità). A così breve distanza dal giudizio, dobbiamo augurarci che stavolta i giudici di cassazione agiscano con saggezza e riportino sui binari della ragionevolezza un giudizio che rischia altrimenti di trasformarsi in un’inutile vendetta.
La Presentazione del libro di Giuliano Santoro “Su due Piedi” Rubbettino Editore, fatta presso la libreria Ubik di Cosenza, è stata l’occasione per rinforzare l’appello della campagna 10×100 al mondo della cultura, dello spettacolo, ai cittadini e alla società civile a far sentire la propria voce firmando l’appello che chiede l’annullamento della condanna per devastazione e saccheggio per tutti gli imputati e le imputate del G8 genovese del luglio del 2001, a tale proposito sentiamo il giornalista Claudio Dionesalvi.
www.10×100.it
[...]Che tempi sono questi in cui
Un discorso sugli alberi è quasi un reato
Perché comprende il tacere su così tanti crimini!
Quello lì che sta tranquillamente attraversando la strada
Forse non è più raggiungibile per i suoi amici
Che soffrono?
[...] b. brecht, 1939 – “A quelli nati dopo di noi”
Quando abbiamo lanciato la campagna 10×100 non immaginavamo che migliaia di persone sul web avrebbero raccolto questo appello.
Manca una settimana alla sentenza in Cassazione, quando 10 manifestanti, nostri compagne e compagni, vedranno deciso il loro immediato futuro. Se la sentenza di condanna in appello venisse confermata, il carcere diverrebbe la loro realtà quotidiana per i prossimi anni.
Nell’incontro “Costruzione del nemico : criminalizzazione degli indesiderati da Genova ad oggi” abbiamo voluto indagare insieme ad avvocati e attivisti per i diritti civili il peso che certe condanne – politiche – hanno nel ridefinire gli spazi del nostro agire, non solo in quanto attivisti, ma anche come abitanti di questo paese.
Pensiamo ai diversi casi di tortura che avvengono nelle celle delle caserme e delle carceri. Pensiamo alla progressiva sostituzione delle leggi con la decretazione d’urgenza. Ai diversi pacchetti sicurezza prodotti negli ultimi anni. Alla individuazione di siti di interesse strategico senza ascoltare le ragioni delle popolazioni (Val di Susa, discariche, siti per la costruzione delle centrali nucleari). Pensiamo al referendum popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua, disatteso e inascoltato. Pensiamo, quindi, all’accanimento con cui hanno perseguito 10 persone condannate per devastazione e saccheggio: un reato figlio del fascismo che
punisce in maniera spropositata reati lievi contro le cose, o la resistenza. Ma soprattutto punisce anche solo la partecipazione, la ”compartecipazione psichica”.
Il messaggio è chiaro, come ha dichiarato anche Antonio Manganelli nella sua relazione del 20 febbraio scorso: non è più importante capire se si commette un delitto o meno, ma che il solo manifestare, il solo scendere in piazza è già un elemento di colpevolezza.
In altri paesi certe dichiarazioni desterebbero scalpore, soprattutto se escono fuori dalla bocca del vicecapo della polizia all’epoca delle manifestazioni contro il G8 di Genova. Siamo però in Italia, e sappiamo che la catena di comando di Genova 2001 ha nel frattempo ottenuto avanzamenti di carriera e siede oggi ai vertici delle forze di polizia e d’intelligence del paese. Sappiamo che la Camera dei Deputati non ha mai voluto aprire una commissione d’inchiesta su quelle vicende. Sappiamo che si è voluto circoscrivere Genova a un enorme problema di ordine pubblico, che andava gestito con tutta la forza necessaria.
Nel suo libro “In marcia con i ribelli” Arundhati Roy torna a raccontare la “guerra ai poveri” condotta dallo stato indiano in difesa dei grandi poteri economici. A noi, che viviamo nella cara vecchia Europa, si dice che dobbiamo sopportare le ricadute pesanti della crisi economica, cercando di ritrovare l’ottimismo.
Se non vogliamo chiamarla anche noi guerra ai poveri è certo che le misure di austerity e le ‘manovre d’estate’ dei diversi stati europei ci renderanno tutte e tutti un po’ più poveri di prima, restringendo poi ulteriormente gli spazi d’espressione e di partecipazione delle e dei cittadini.
Le ragioni di una campagna come questa, dunque, risiedono qui.
Nel ricordare che prendere parola per i 10 condannati per devastazione e saccheggio vuol dire affermare che le vite delle persone valgono più di un oggetto danneggiato durante una manifestazione. Che la solidarietà è un valore opposto e contrario alla solitudine in cui le si vorrebbe lasciare. Non si tratta di decidere se sia giusto o sbagliato, se ci siano metodi più o meno corretti di manifestare. Si tratta, oggi più che mai, di capire che c’è una sfera incedibile si sovranità, che è quella che attiene al dissenso, alla volontà di cambiare le proprie condizioni di vita, di pretendere il meglio per sé e per gli altri.
Per questo diamo appuntamento davanti alla Cassazione a Piazza Cavour per le ore 10:30 per una conferenza stampa.