Alla fine,
pur trovandomi nella cella di un carcere tutto riesco a provare tranne che tristezza e senso di sconfitta; a impedirmelo sono la mia natura, la grande solidarietà dentro e fuori le mura e il fatto che finalmente, dopo dieci anni di iter giudiziario, comincio a vedere l’uscita dal tunnel; tunnel per modo di dire perché ho cercato di esorcizzare la “spada di Damocle” che pendeva sulla mia testa provando a vivere la vita in modo normale fin progettandomi il futuro che sapevo già scritto dopo la condanna di primo grado che mi combinava dieci anni.
E’ difficile far comprendere a chi non c’era a Genova in quei giorni cosa passò nella mia testa di ragazzo appena più che ventenne durante le cariche, le fughe, il provare a difendermi coi sassi, rimandando al mittente la pioggia di lacrimogeni che piovevano con diabolica costanza per tutto il pomeriggio del venti e ventuno luglio di quel duemilauno. Resta un mistero anche per me, oggi, alla soglia dei miei trentaquattro anni.
L’unico ricordo che rimane vivido nella mia testa è l’immagine di quel ragazzo, al mio fianco, che cadeva, il sangue che copioso gli sgorgava dal naso e di tutto il trambusto che aveva intorno, rimase il silenzio. Non lo conoscevo quel ragazzo, imparai a conoscerlo dopo, frequentando la sua famiglia, passando le domeniche mangiando pizzoccheri, accompagnando Haidi a far la spesa cercando di usare tutto il tatto possibile quando parlavamo di quei giorni che cambiarono la loro e la mia vita. La cosa che più apprezzai di quelle giornate fu la velata leggerezza con la quale affrontavamo le tristi tematiche che ci accomunavano, leggerezza che, ogni volta che me ne tornavo a casa, mi rendeva sempre conscio del fatto di essere nel giusto, di aver agito per legittima difesa e per questo arrivato a oggi posso tranquillamente affermare che se tornassi indietro lo rifarei, rifarei tutto, posso di non essere e non essermi mai sentito un “capro espiatorio” e di non potermi pentire di essermi difeso da una carica illegittima, come disse la sentenza di secondo grado e sotto sotto di potermi ritenere “fortunato” nell’essere uscito vivo e senza un graffio.
Guardandomi indietro vedo solo la sconfitta di un movimento che stava per nascere, duramente represso sulle strade e nelle aule dei tribunali chiamati a giudicare i comportamenti di una parte e dell’altra, che ha preferito “adagiarsi” su un martire e ventisei capri espiatori, cosa giusta, intendiamoci, ma che non giustifica l’essenza della maggior parte di chi a quei tempi partecipò ed in alcuni casi organizzò le manifestazioni. Capro espiatorio, io, non lo sono mai stato, chiunque poteva essere al mio posto in quei momenti, mi sento uno sfigato, quello sì!
E in tutti questi anni ho imparato a non farmi condizionare la vita da quei fatti facendomi scivolare addosso gli epiteti con i quali i vari giornalisti/pennivendoli ci classificavano e i comportamenti derivati dalla, come la chiamo io, “Sindrome da madre Teresa di Calcutta” che buona parte della gente che ho incontrato in questi anni rifletteva. So di non risultare un granché simpatico, ma non lo sono mai stato, come non sono mai stato un anarchico-insurrezionalista, del resto sono un cane sciolto, cinico alle volte individualista e anche un po’ stronzo; sto pagando sulla mia pelle il peso delle mie idee e comportamenti ma questo l’avevo messo in conto, anche se preferirei essere qui a scontare una condanna a tentato omicidio perché ricordo che se Placanica fu assolto per aver sparato perché in pericolo di vita, di controparte io e gli altri due avremmo dovuto essere giudicati per il tentato omicidio, questa è un’ingiustizia, come è stato trarmi in arresto nel dicembre del duemilatre perché pericoloso socialmente sulla base di fatti che la procura genovese già conosceva dal febbraio duemiladue, ma l’Italia, come la storia mi ha insegnato, non è il paese delle responsabilità ma dei “misteri” e dell’opinione pubblica che si basa sulle “verità” dei mezzi di “comunicazione” che ci sia Berlusconi o “la sinistra” al potere, degli arresti in prima pagina e le scarcerazioni che ridimensionano le accuse che molte volte non compaiono nemmeno sulla carta stampata quando accadono.
Per quel che mi riguarda mi faccio la galera a testa alta, forte del fatto di essere nel giusto e aspettando il giorno in cui uscirò e potrò rifarmi una vita. La mia solidarietà va a chi sta pagando con la detenzione le proprie idee e la propria e la propria coerenza, il mio saluto e il mio ringraziamento agli avvocati Laura Tartarini, Alessandro Arrigo, Lamma e Gamberini che mi hanno assistito per tutto questo temo, alle persone che mi sono state e mi sono tutt’ora vicine, alla Famiglia Giuliani, a mia madre e mio fratello, posso dirvi solo di non preoccuparvi perchè il mio corpo è dove la mia testa non è mai entrata. Un abbraccio e una stretta di mano e mezzo sorriso incorporati.
Luca Finotti
19 Dicembre 2013